Cinque giorni fa, Elon Musk ha fondato un partito. Più o meno ventiquattrore fa (rispetto al momento in cui scrivo) ha annunciato la disponibilità per gli utenti finali di Grok 4, presentandola come la più potente intelligenza artificiale generativa oggi sul mercato.
Ho provato Grok 4 e non mi è piaciuta molto, però è presto per un giudizio serio e comunque ne parleremo un’altra volta. Ma è fuor di dubbio che c’è una tempesta in rapida formazione sopra gli Stati Uniti e l'epicentro si chiama Elon Musk.
Ne ho discusso ieri con un paio dei miei Minions addestrati per analisi geopolitiche e alla fine ne è uscita una previsione che mi pare affidabile. Se non vi piacciono i post lunghi, potete saltare all’ultimo paragrafo.
Oppure mettetevi comodi: qui il cielo è un po’ coperto e io non ho troppa voglia di uscire. Me la prenderò comoda e non sarò breve.
Omne trinum moriturum est
In quella strana epoca che fu il medioevo, uscì il modo di dire omne trinum est perfectum, tutto ciò che è composto da tre parti è perfetto. Un motto che forse andava bene in Europa ai tempi dell’omaggio vassallatico, ma che non ha mai funzionato negli Stati Uniti.
Il sistema elettorale americano - per quanto complesso possa sembrare a noi italiani, col meccanismo dei Grandi Elettori - si basa su una contrapposizione bipolare molto semplice: ci sono i Repubblicani e ci sono i Democratici. Stop.
Le forze terze non vincono mai (spesso, non ci provano neppure) ma quasi sempre cambiano il clima in modo irreversibile. Sono l'indicatore che il sistema è instabile.
L’ex presidente Theodore Roosevelt, uscì dal partito Repubblicano e corse nel 1912 con il suo Bull Moose Party. Fu un fronte di tempesta che spaccò in due il blocco Repubblicano. Non tornò alla Casa Bianca, ma deviò abbastanza voti repubblicani da consegnare una vittoria schiacciante al democratico Woodrow Wilson. Chiara testimonianza che neppure il più consolidato dei sistemi può resistere alla forza di una personalità carismatica che rompe le righe.
Nel 1968, George Wallace - che si conquistò la definizione di perdente più influente del XX secolo - si presentò alle presidenziali, ma rifiutò di passare per le primarie democratiche (sì, in origine era un Democratico) sapendo che gli sarebbero state sfavorevoli. Corse invece come candidato del nuovo Partito Indipendente Americano. La sua campagna ultra-razzista e populista non era pensata per vincere, ma per mandare un segnale. E il segnale fu ricevuto da Richard Nixon che vide quella mappa del calore, capì la rabbia dell'elettorato e costruì la sua "Strategia del Sud" per catturare quei voti negli anni a venire.
Nel 1992, Ross Perot, un miliardario senza peli sulla lingua, martellò l'America con una sola idea: il debito nazionale. I due partiti la ignoravano. Lui la trasformò nel centro del dibattito. Con quasi il 19% del voto popolare, erose la base del presidente Bush e contribuì all'elezione di Bill Clinton. Non conquistò neanche un voto elettorale, ma cambiò la pressione atmosferica della politica economica per il decennio successivo.
C'è poi una anomalia più recente: il Tea Party, emerso nel 2009. Non un partito, ma un movimento. Una corrente di rabbia conservatrice che non si scontrò contro il Partito Repubblicano, ma ribollì al suo interno. Lanciarono sfide nelle primarie, bollarono gli avversari come RINOs (Republicans In Name Only) e, di fatto, deviarono la rotta dell'intero partito, spingendolo su posizioni molto più rigide. Il Tea Party alterò permanentemente l'ecosistema repubblicano e MAGA ha lo stesso corredo genetico.
Dunque in quasi un secolo, ci sono stati almeno quattro tentativi degni di nota di rompere il meccanismo bipolare statunitense attraverso la creazione di partiti terzi capaci di intercettare le insoddisfazioni (e spesso, la rabbia) degli elettori.
Tutti questi tentativi hanno sortito dei risultati, ma sono rimasti isolati e poi si sono spenti. L'uragano Musk potrebbe avere caratteristiche diverse. È un sistema molto più complesso, auto-alimentato e con una portata globale. Studiare il passato serve a capire le meccaniche di base, ma la scala di ciò che sta arrivando è senza precedenti.
L'occhio dell’uragano
L'epicentro della prossima tempesta è un uomo, ma l’energia d’innesco proviene da uno scontro. La turbolenta relazione tra Elon Musk e Donald Trump è una cronaca di alleanze, tattiche e rotture che preparano un terreno di una guerra.
La loro non è mai stata un'amicizia. È stata una transazione. Inizia nel 2016, dopo l'elezione di Trump. Musk, l'uomo della Silicon Valley e dell'energia pulita, fa una scommessa pragmatica. Accetta di entrare nei consigli economici del Presidente. La logica è inappuntabile: meglio essere al tavolo che sul menu. Cerca di influenzare dall'interno un'amministrazione piuttosto scettica sul clima e sulla scienza. Trump, dal canto suo, comprende bene il vantaggio di avere il sommo sacerdote dell'innovazione al suo fianco. L’atmosfera è serena, ma l'aria è carica di elettricità statica.
Il primo fronte freddo arriva quasi subito, nel giugno 2017. Trump annuncia il ritiro degli Stati Uniti dall'Accordo di Parigi sul clima. Musk abbandona i consigli presidenziali in un tweet. La rottura è pubblica e netta. Per anni, i due si ignorano. Sono due poli di due diversi poteri, con visioni del mondo inconciliabili.
La situazione cambia di nuovo con l'acquisizione di Twitter nel 2022. Musk diventa il proprietario della piazza. Riattiva l'account di Trump in nome di un “assolutismo della libertà di parola”. Sembra un'offerta di pace, ma è una mossa tattica. Musk non ha bisogno di Trump. Ha bisogno del pubblico di Trump. Usa la piattaforma per parlare direttamente a un elettorato anti-establishment, libertario e stanco della politica tradizionale. Non si schiera. Critica entrambi, Democratici e Repubblicani. Si posiziona come osservatore superiore, al di sopra delle parti.
La rottura finale, quella che genera l'uragano, matura all'inizio del 2025 dopo un breve periodo di collaborazione governativa. L'amministrazione Trump, appena tornata alla Casa Bianca, vara una legge fiscale che penalizza pesantemente le aziende tecnologiche e i crediti per le energie rinnovabili. È un attacco diretto al cuore dell'impero di Musk. Trump lo definisce un "globalista ingrato". Musk risponde colpo su colpo. E poi fa la sua mossa: annuncia la nascita dell'America Party. Transazioni finite, guerra iniziata.
Proviamo ad abbozzare qualche previsione.
Per i Repubblicani, l'America Party sarà una vera e propria guerra civile. La strategia di Musk è chirurgica, ma senza anestesia: una versione high-tech di quella del Tea Party. Non punta a vincere le elezioni. Punta a vincere le primarie repubblicane. Il suo denaro e la sua influenza su X vengono usati per finanziare e promuovere sfidanti contro ogni deputato o senatore del GOP che ha sostenuto la legge fiscale di Trump. Questo creerà il caos. Ogni candidato sarà costretto a una scelta di campo: stare con il partito e con Trump o stare con Musk. Le risorse economiche saranno prosciugate in battaglie fratricide. I candidati che sopravviveranno a queste primarie al veleno ne usciranno comunque indeboliti, senza soldi e con un elettorato diviso, pronti per essere sconfitti dal candidato democratico nella corsa finale. Musk non ha bisogno che i suoi uomini vincano. Gli basta che i nemici perdano.
Per i Democratici, il quadro è più complesso, un misto di opportunità e di pericoli mortali. A prima vista, la guerra civile repubblicana è un bel regalo. Un partito avversario diviso e impegnato a distruggersi dall'interno sembra la via più facile per conquistare seggi al Congresso. Ma il vero pericolo per i Democratici non è ciò che Musk fa, ma ciò che Musk dice. Il suo messaggio costante, martellante, è anti-sistema. La sua critica non si limita ai Repubblicani. Attacca l'inefficienza del governo, la spesa pubblica, la burocrazia, la cultura woke. Parla a un'America profonda che include non solo libertari, ma anche indipendenti e democratici moderati delusi. Il suo effetto su questi elettori non è spingerli a votare Repubblicano. È convincerli che il gioco è truccato, che Washington è un disastro e che nessuno merita il loro voto. L'influenza di Musk prosciuga la motivazione e abbassa l'affluenza. Per i Democratici, il rischio non è perdere voti a favore di Musk, ma perdere voti a favore del divano (vi ricorda qualcosa?). Potrebbero vincere qualche battaglia nel 2026 per KO tecnico dell'avversario, ma rischiano di ritrovarsi con un elettorato più piccolo, più vecchio e molto meno energico, avendo perso la guerra per conquistare il cuore dei loro elettori.
Fulmini e dati: l'IA come moltiplicatore di tempesta
Ogni uragano ha i suoi fulmini. Quello di Musk si chiama Grok 4, non una semplice arma di propaganda, ma un vero e proprio “moltiplicatore di intensità della tempesta” che potrebbe operare su tre livelli: la disinformazione su scala industriale, il superamento delle vecchie strategie di guerra politica e, infine, l'ascesa dell'IA a vero e proprio consulente strategico.
Il primo livello è la disinformazione. La novità non è la bugia: la politica ha sempre mentito. Le novità sono scala, velocità e personalizzazione. Grok può generare migliaia di varianti di un articolo, un post o un commento in pochi minuti, creando l'illusione di un'ondata di consenso popolare dal nulla. È la tecnica dell'astroturfing elevata all'ennesima potenza.
Ma il vero salto di qualità è nella personalizzazione. L'IA permette di creare deepfake video o audio e di adattarli a micro-segmenti di elettorato. Un candidato può essere mostrato mentre fa una promessa a un gruppo di agricoltori in Iowa e, contemporaneamente, la stessa promessa, con parole e accenti diversi, a un gruppo di operai in Michigan. L'obiettivo finale non è solo far credere a una menzogna specifica. È distruggere il concetto di verità condivisa. È generare il "dividendo del bugiardo": in un mondo in cui tutto può essere falso, anche la verità diventa sospetta e l'unica cosa che resta è la propria convinzione preesistente. L'elettore non cerca più i fatti. Cerca conferme. E l'IA è una fabbrica di conferme.
Questo ci porta al secondo livello: il superamento tattico. Le vecchie strategie di comunicazione politica, anche le più aggressive, appaiono artigianali al confronto. Prendiamo Steve Bannon e Cambridge Analytica. La loro fu una rivoluzione. Usarono il microtargeting psicografico: raccolsero dati su milioni di persone e li usarono per colpire le loro paure e i loro desideri inconsci. Fu un'operazione da bisturi psicologico, condotta da un'élite di specialisti. Ma era pur sempre un'operazione umana. L'IA automatizza e massifica questo processo. Non ha bisogno di un team di analisti per costruire profili; li deduce in tempo reale dal comportamento online. Non ha bisogno di creativi per scrivere annunci; li genera al momento, su misura per l'individuo che li riceverà. Se Bannon comandava una squadra di incursori, Grok scatena uno sciame di droni autonomi. Lo sciame non ha bisogno di ordini continui. Ha solo bisogno di un obiettivo.
Ecco il terzo e ultimo livello, il più inquietante. La domanda da porsi non è più solo “cosa può fare Grok?”, ma “cosa può suggerire a Musk?”. Qui siamo oltre la propaganda. Siamo nel campo dell'oracolo strategico. Un'IA come Grok può processare una quantità di dati che nessuna mente umana potrebbe mai contenere: risultati elettorali, indicatori economici, sentiment sui social media, dati sulla logistica, persino tendenze meteorologiche. Può trovare correlazioni invisibili, identificare le ansie nascoste di un distretto elettorale, prevedere le vulnerabilità di un avversario prima che lui stesso se ne renda conto. Può eseguire milioni di simulazioni di campagne elettorali in poche ore, testando ogni possibile mossa e contromossa. "Cosa succede se investiamo il 10% del budget in questo spot in Arizona per 72 ore?". "Qual è la probabilità che il nostro avversario reagisca parlando di sanità?". Grok può dare una risposta basata sui dati.
Questo è il vero moltiplicatore di tempesta. È l'intelligenza che dice al fulmine dove e quando colpire per causare il massimo danno. L'IA non è più solo un'arma, ma sta diventando lo stratega che consiglia quale arma usare.
Spaventoso? C’è di peggio…
Mappe globali: altri climi, altre tempeste
L'uragano Elon è un fenomeno americano, con una certa potenzialità di espansione globale, nato dalla collisione tra individualismo miliardario e una democrazia aperta. Ma se allarghiamo la mappa, vediamo che l'intelligenza artificiale sta cambiando il clima politico ovunque. Non sempre con la violenza di un uragano, ma comunque con forza inesorabile.
In Cina, il modello è l'opposto dell'uragano. È una cupola di alta pressione permanente. L'obiettivo dell'IA non è vincere il dibattito politico; è impedire che il dibattito nasca. Qui l'intelligenza artificiale è il motore dell'ingegneria sociale su scala nazionale. Il Partito Comunista la usa per alimentare il Sistema di Credito Sociale, un meccanismo che non si limita a sorvegliare, ma premia e punisce il comportamento dei cittadini in tempo reale. Le elezioni sono una formalità rituale. Il vero lavoro dell'IA sono censura e stabilità “predittive”. Analizza i dati per identificare e neutralizzare il dissenso prima che si organizzi. Anche qui esistono i magnati della tecnologia, come Pony Ma di Tencent o il fondatore di Alibaba, Jack Ma. Ma non sono Elon Musk. Non sono centri di potere autonomi. Sono guardiani del sistema, in simbiosi forzata con il Partito. Se un tycoon esce dai ranghi, come tentò di fare Jack Ma, il Partito interviene con una rapidità e una durezza impensabili in Occidente. In Cina, l'IA non è la tempesta. È il cielo artificiale, senza nuvole e senza vento, sotto cui vive la nazione. Piuttosto spaventoso.
In Russia, il clima è diverso. È una nebbia artificiale e perenne. L'obiettivo strategico del Cremlino non è la stabilità di un cielo sereno, ma la confusione di una visibilità pari a zero. L'IA viene usata su due fronti. All'esterno, alimenta la guerra dell'informazione contro l'Occidente. Le vecchie “fabbriche di troll” ora usano l'IA per creare profili falsi più credibili, per generare argomenti divisivi e per inondare le democrazie avversarie con una tale quantità di narrazioni contraddittorie da rendere la verità irraggiungibile. All'interno, l'IA è uno strumento di controllo più sottile. Giganti come Yandex (il Google russo) filtrano e distorcono i risultati delle ricerche su argomenti sensibili. Non si tratta di una censura totale come in Cina, ma di un inquinamento costante delle fonti che porta all'apatia politica. Il cittadino medio, incapace di distinguere il vero dal falso, semplicemente smette di credere a tutto e si ritira dalla vita pubblica. Le elezioni diventano un esercizio di conferma del potere esistente, non perché manchino le alternative, ma perché la nebbia le rende invisibili. Ancora più spaventoso.
Infine, c'è l'India, che rappresenta un terzo modello: il monsone digitale caotico. Essendo la più grande democrazia del mondo, l'India mostra cosa succede quando gli strumenti di IA politica diventano economici e accessibili a tutti in una società iper-connessa e polarizzata. Durante le elezioni, il paese viene travolto da un diluvio di disinformazione che si propaga tramite app di messaggistica come WhatsApp. Non c'è un'unica regia statale. Sono i partiti politici, i gruppi di interesse, i singoli candidati, tutti contro tutti, a usare deepfake audio e video, messaggi generati dall'IA e propaganda mirata per screditare gli avversari. Anche qui ci sono magnati come Mukesh Ambani, che controlla gran parte dell'infrastruttura di telecomunicazioni, ma il suo ruolo non è quello di dirigere la tempesta, bensì di esercitare i diritti di possesso dei canali attraverso cui scorre il diluvio. Il modello indiano è forse il più vicino a un vero disastro naturale: non è controllato, è imprevedibile e lascia dietro di sé una società ancora più frammentata e sfiduciata. Il futuro probabile delle ultime democrazie emergenti. E se non vi spaventa questo…
Previsione o scommessa?
Ogni bollettino meteorologico si conclude con le previsioni. Questa è la nostra (parlo per me e per i miei Minions) previsione per le elezioni di midterm del 2026.
Per i Repubblicani: danni strutturali. L'America Party di Musk non vincerà seggi su scala nazionale, ma otterrà il suo scopo primario: la vendetta. Prevediamo che almeno una manciata di candidati Repubblicani fedeli a Trump verranno sconfitti nelle primarie da sfidanti sostenuti da Musk. La conseguenza più grave, però, si vedrà nelle elezioni generali: in diversi distretti chiave, le lotte intestine lasceranno il candidato Repubblicano (chiunque esso sia) così indebolito e a corto di fondi da consegnare la vittoria al candidato Democratico. Il GOP perderà seggi che, in un clima normale, avrebbe vinto facilmente.
Per i Democratici: vittoria amara. Sul breve termine, i Democratici beneficeranno del caos repubblicano, conquistando qualche seggio che non si aspettavano. Ma sarà una vittoria di Pirro. L'incessante messaggio anti-sistema di Musk e Grok eroderà la fiducia nel processo democratico stesso, deprimendo l'affluenza tra gli indipendenti e i moderati. Il partito si ritroverà ad aver vinto qualche battaglia tattica, ma con una base elettorale complessivamente più ristretta e meno motivata.
Per Elon Musk: missione compiuta. Uscirà dalle elezioni del 2026 come il vero vincitore strategico. Avrà dimostrato di poter creare e distruggere carriere politiche, costringendo il Partito Repubblicano a negoziare con lui come con una potenza straniera. E avrà anche dimostrato di non avere alcun bisogno di conquistare il potere, perché lui è il potere.
Questo è lo scenario più “facile” da prevedersi. Ma ne esiste anche un altro, assai più complesso. Trump non dorme e anche se ha scelto il personaggio pubblico del “cinghiale vestito da troll”, è tutto fuorché stupido. Le cose che avete letto fin qui, le sa benissimo e da tempo. Cosa accadrebbe se stipulasse un’alleanza con Bezos o Zuckerberg per l’accesso ad un sistema generativo in grado di scendere in battaglia contro Grok?
Salvate questo articolo nei preferiti e tornate qui a novembre 2026. Vedremo insieme com’è andata.
Perché una cosa è certa, al di là di ogni previsione: il tempo non sarà stabile.
Sitografia di riferimento
Contesto USA e Precedenti Storici:
Newsweek: A Timeline of Elon Musk's and Donald Trump's Bromance - Per la cronologia dettagliata del rapporto tra Musk e Trump.
Brookings Institution: The Tea Party Movement - Per un'analisi autorevole sull'impatto del Tea Party come movimento interno al GOP.
Oxford Bibliographies: Third-Party Politics in the United States - Per un inquadramento accademico sul ruolo e la storia dei partiti terzi americani.
Tecnologia, IA e Disinformazione:
DFRLab - Atlantic Council: Grok struggles with fact-checking amid Israel-Iran war - Sulle criticità e la tendenza alla disinformazione di Grok in scenari di crisi.
PBS Frontline: "I Was Just Flabbergasted." Discovering Cambridge Analytica - Per comprendere il modello strategico di Steve Bannon e Cambridge Analytica, il predecessore della propaganda via IA.
Carnegie Endowment for International Peace: Can Democracy Survive the Disruptive Power of AI? - Per un'analisi generale sulle minacce dell'IA ai sistemi democratici.
Analisi Globale:
Henry Jackson Society: China's Use of AI and its Negative Impact on the World - Sul modello cinese di controllo sociale e stabilità politica tramite IA.
Aspenia Online: Russia, la guerra dell'informazione e l'uso dell'IA - Sul modello russo di destabilizzazione esterna e apatia interna tramite la disinformazione.
Sky TG24: L'impatto dell'intelligenza artificiale in India, come ha influenzato le elezioni - Sul modello caotico indiano dell'IA democratizzata e l'impatto su WhatsApp.