Qui non abbiamo carne
Dalla riproducibilità tecnica dell'opera alla produzione industriale di linguaggio
L’Intelligenza Artificiale Generativa ha valicato da tempo i confini della mera innovazione tecnica e si è ormai affermata come strumento di consumo di massa. Il suo avvento non è paragonabile all’introduzione di un qualsiasi altro servizio tecnologico; manifesta, piuttosto, tutti i crismi dell’evento epocale, capace di ridefinire le condizioni di possibilità dell’esperienza umana, del legame sociale e della soggettività stessa.
In quale direzione avverrà questa ridefinizione? Probabilmente quella ancora celata tra le pieghe del ventaglio di prospettive offerte dall’attuale polarizzazione tra entusiasti acritici e cassandre isteriche.
È andata come previsto da Clarke e Kubrick: un immenso monolite nero — impermeabile al senso — si è materializzato al centro di un villaggio di antropoidi.
Certo, si può obiettare che, a differenza di quello di 2001 Odissea nello spazio, il nostro artefatto non proviene da un’entità aliena. Lo abbiamo costruito noi, le scimmie.
Ma molti aspetti di questa costruzione poggiano su scantinati e fondamenta la cui mappatura rimane un mistero insondabile per gli stessi costruttori.
Walter Benjamin, nel suo scritto più famoso, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, preconizzava la perdita dell’”aura” — quell’intreccio irripetibile di hic et nunc, di lontananza e autenticità — come conseguenza ineluttabile della replicabilità meccanica dell’oggetto artistico.
E in effetti, la storia gli ha dato ragione, sebbene con un esito dialettico imprevisto: fotografia, cinema e fonografia non hanno distrutto l’Arte (magari ci fossero riusciti!), ma si sono trasmutati essi stessi in forme d’espressione autonoma, talvolta rendendo la copia più interessante dell’originale (Warhol).
In ogni caso, come mi ricorda spesso un amico con pragmatismo disarmante, l’invenzione dell’automobile non ha impedito, a chi ne avesse il desiderio, di continuare ad andare in bicicletta.
Tuttavia, l’enigma che ci pone oggi l’Intelligenza Artificiale Generativa è più sottile e inquietante. ChatGPT, Claude e Gemini suonano come campane a morto per il tempo di Benjamin. Si chiude l’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte e si apre quella della produzione industriale di linguaggio.
È nell’evoluzione dalla riproducibilità alla producibilità che risiede l’aporia fondamentale. Questa trasformazione non è neutra, ma implica una grammatizzazione1 radicale dell’esistenza: il linguaggio, facoltà un tempo incarnata e legata indissolubilmente al desiderio del soggetto, viene estratto, discretizzato, calcolato e reimmesso nel circuito sociale come sottoprodotto di “merce cognitiva”. La nuova monnaie vivante è il token.
Il problema del senso
Da un punto di vista sistemico, l’Intelligenza Artificiale è un ente allopoietico: produce qualcosa di diverso da sé (testo, immagini, codice) per una finalità che le è esterna (l’utente). Nonostante l’immensa complessità delle architetture di transformer e tensor che ne governano i meccanismi di attenzione, l’IA non possiede un proprio mondo, ma opera in un universo puramente sintattico, manipolando simboli senza alcun accesso al contenuto semantico o all’esperienza fenomenologica.
Il significato è del tutto irrilevante per la trasmissione del messaggio. L’IA ottimizza la probabilità statistica della sequenza di simboli, rimanendo strutturalmente cieca al senso.
Questa cecità strutturale comporta rischi epistemologici, ma anche tecnici, come il fenomeno del Model Collapse. Poiché i sistemi generativi si nutrono di dati, e poiché il web viene progressivamente inondato di dati sintetici generati da altri sistemi di IA, si innesca un feedback loop degenerativo. Senza l’iniezione continua di “negantropia” (nuova informazione, esperienza vissuta, errore umano), l’IA collassa su se stessa, rivelando la propria natura parassitaria rispetto alla vitalità del linguaggio umano.
Quando un’IA scrive Io, sta utilizzando quello che i linguisti definiscono uno shifter o deittico: una parola vuota che si riempie di significato solo in virtù del contesto dell’enunciazione. Nel caso dell’essere umano, dietro l’Io c’è un corpo, un desiderio, un inconscio.
In casa c’è qualcuno che si assume il rischio di parlare.
Nell’IA, l’Io è un mero effetto statistico. L’algoritmo ha calcolato che, data una certa sequenza vettoriale, la probabilità più alta è l’inserimento del token Io. L’IA è dunque un perfetto sembiante di soggettività: produce enunciati coerenti, ma la sua enunciazione è vuota.
La casa è piena di voci, ma in casa non c’è nessuno.
Qui non abbiamo pesce
Le cose si fanno complesse; alleggeriamole con una battuta cara a Slavoj Žižek.
Un uomo entra in un negozio e chiede: «Non avete carne?».
Il commesso risponde: «No, qui è dove non abbiamo pesce. Il negozio dove non hanno carne è dall’altra parte della strada».
La freddura nasceva per ridere (a pancia vuota) delle conseguenze del regime comunista, ma descrive con precisione chirurgica lo statuto ontologico dell’Intelligenza Artificiale Generativa: l’IA è il luogo dove non abbiamo il soggetto.
Non si tratta di una semplice assenza, ma di un’assenza strutturata, positiva: un vuoto che finge di essere una pienezza.
Dosis sola facit
Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit.
Dosis sola facit, ut venenum non fit.Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim detto Paracelso, [1493-1541]
I progressi che l’IA ha introdotto nell’ambito della ricerca scientifica sono innegabili e sotto gli occhi di chiunque abbia l’onestà intellettuale di osservarli.
Tuttavia, avverto perplessità non trascurabili riguardo alla sua facile disponibilità come gadget di massa. Instaurare un rapporto personale e quotidiano con questo Grande Nulla Semantico comporta pericoli significativi, non solo a livello sociale, ma per il nostro personale Savoir. L’accelerazione produttiva con cui l’IA ci seduce rischia di innescare la triplice perdita di:
Savoir-Faire
L’artigiano perde la mano, il programmatore perde la capacità di scrivere codice.Savoir-Vivre
La capacità di gestire le relazioni sociali e affettive viene mediata, suggerita e infine sostituita dagli algoritmi generativi.Savoir-Penser
La facoltà critica di giudizio si atrofizza a fronte della disponibilità immediata di risposte preconfezionate.
E qui ribadiamo che questi sono rischi, non certezze. Arroccarsi sull’idea di rifiutare l’IA per il timore di “diventare stupidi” costituisce, paradossalmente, un Certificato di Stupidità a valenza internazionale.
Guidare un’automobile comporta pericoli mortali, specie se non si possiede la tecnica necessaria. Con l’IA è lo stesso.
È necessario avere una buona cognizione generale della macchina, del suo motore inferenziale e delle regole che vigono sulle sue strade sintattiche, prima di girare la chiave d’accensione.
E poi ricordare la massima del Paracelso: non esiste alcun veleno che sia tale di per sé; il veleno è fatto dalla dose.
Prima dell’avvento dell’Intelligenza Artificiale, la realtà era “ciò che non cessa di non scriversi2”, e che quindi può essere esperita solo attraverso un urto, una ferita, un dolore, un trauma.
Ora è lo stesso. Il reale è sempre una indicibile ferita.
Ma la seduzione di un linguaggio senza soggetto rischia di rendere molto più tortuoso il cammino verso la forza e la lucidità necessarie a prenderne atto.
Bernard Stiegler definisce la *grammatizzazione* come il processo storico attraverso cui i flussi continui dell’esistenza (il parlato, il gesto, la memoria) vengono “discretizzati”, cioè suddivisi in unità discrete riproducibili come l’alfabeto, le note musicali, i pixel e ora i token.
Jacques Lacan, Seminario XX (Ancora), 1972-1973.


Ce ne era bisogno: dí discernimento. Non c’ e’ dall’ altra parte della strada.